La neviera

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Sulle pendici del monte Giove, non lontano dall’abitato, si erge isolata l’antica “neviera”, una delle più importanti testimonianze storiche del Comune di Vaglio Basilicata. Tale manufatto si compone di due corpi di fabbrica affiancati a forma circolare: la prima, quella dal diametro maggiore, è quasi completamente interrata fino a nove metri di profondità, la seconda più piccola presenta delle strutture in elevazione simili a quelle delle antiche torri. Le strutture di copertura sono completamente scomparse e i due manufatti sono tra loro comunicanti tramite una apertura ad arco. Le “neviere” sono dei pozzi tronco-conici con muratura perimetrale in pietra grezza, profondi in media cinque o sei metri e con diametro fino a dieci metri, che vennero per lungo tempo adibite a deposito della neve destinata al consumo durante il periodo estivo. Sappiamo da fonti storiche che tra la metà del XIV secolo e la fine del XIX, l’uso del refrigerante naturale era molto diffuso sia per la conservazione dei cibi deteriorabili, e sia come terapia del freddo contro determinate patologie. La neve, trasportata a spalla fino alla neviera, una volta introdotta nella fossa veniva battuta e costipata strato su strato, quindi coperta con fogliame secco e da una tettoia conica mobile; tra la struttura di copertura e lo strato di foglie si creava un’intercapedine termoisolante che permetteva la conservazione della stessa fino all’estate. Furono soprattutto le famiglie nobili e dell’alta borghesia che, durante il XVII secolo alimentarono un florido commercio del refrigerante naturale. Il commercio della neve, oltre ad appagare le richieste della nobiltà, doveva soddisfare anche le richieste di commercianti, ospedali, conventi ecc., divenendo talmente lucroso da giustificare l’applicazione di un’imposta. Inoltre si può ipotizzare che il secondo corpo di fabbrica della neviera di Vaglio, ovvero la torre, potesse avere funzione di “guardiania” a protezione del ghiaccio stesso.

 

Le chiese

Chiesa di San Donato

chiesa nazareth 

La Chiesa di San Donato (o di S.Maria di Nazareth). L’intitolazione a S. Maria di Nazareth si riferisce agli arcivescovi di Nazareth scappati dalla Galilea e rifugiatisi a Barletta, dove il loro principale punto di ritrovo fu la chiesa di S. Maria di Nazareth nel borgo di S. Antonio, da cui dipendeva anche l’omonima chiesa di Vaglio. Vari rettori si alternarono nel corso del tempo nella gestione della chiesa pugliese e dei beni di pertinenza del vescovo di Nazareth, tra cui c’era anche la chiesa lucana. L’edificio, risalente al XIV secolo, è caratterizzato da forme semplici ed essenziali, a cui una certa suggestione è conferita dalle cortine murarie in pietra. La sobrietà dell’esterno, dove la copertura a spioventi è interrotta da un aereo campaniletto a vela si proietta anche nella spazialità dell’aula interna; quest’ultima è impostata su due navatelle affiancate e divise da un unico arco, ognuno terminante in una piccola abside semicircolare, a cui si può accedere mediante due portali simmetrici con finestra soprastante. Alle spalle della chiesa irrompe con tutta la sua bellezza il corpo biabsidato che trova un valido termine di paragone nella zona presbiterale del santuario di Rossano a cui rimandano anche i due altari interni anch’esso peraltro appartenente alla mensa del vescovo di Nazareth. Sulle pareti interne della chiesa si dispiega un interessante ciclo di affreschi, i cui interventi pittorici si possono datare in un arco di tempo compreso tra il XIV ed il XVIII secolo. Fra le varie scene si scorge la raffigurazione di S. Sabino, patrono di Canosa di Puglia, la cui presenza pittorica si può verosimilmente spiegare con i molteplici rapporti che legavano la chiesa di Vaglio al mondo pugliese. Nell’arredo liturgico sono inclusi due altari lignei ascrivibili al XVIII secolo e due statue, anch’esse settecentesche, raffiguranti, rispettivamente, S. Donato e la Madonna con il Bambino. L’ancona lignea contenente la statua di S. Maria di Nazareth fu commissionata dal rettore don Clemente Catalano, come testimonia la scritta posta al di sotto dei plinti: «Sumptibus rectore R.D. Clem.e V.s Cappellae S.S Sacramenti 1730». Una delle pareti è arricchita da una lastra marmorea percorsa da un’epigrafe, il cui contenuto ricorda la presenza nella chiesa della Confraternita di S. Maria di Nazareth ed i restauri di cui i suoi membri si fecero promotori alla metà del Cinquecento: «Hoc opus fe: venerabiles Confratres Sante Marie Nazarene 1553».

Chiesa di San Pietro Apostolo 

chiesa ssPietro 

La chiesa di San Pietro Apostolo sorse tra il XV e XVI secolo, probabilmente al posto di una presistente fortezza normanna, di cui vennero sfruttate anche le fondamenta. L’edificio, afiancato da un campanile, si presenta solenne e maestoso, grazie anche alla pietra utilizzata nel parato murario, che ne esalta l’austerità. Il portale principale della chiesa, orientato verso occidente, secondo l’antica tradizione cristiana, è contraddistinto da un’iscrizione in cui si legge la data del 1659, anno a cui risale uno degli interventi di restauro sull’edificio. In corrispondenza dell’ingresso minore c’è invece una scritta in latino, ascrivibile al XVIII secolo, che ricorda la chiesa come il luogo in cui si svolgevano i comizi durante il regno di Carlo di Borbone. La chiesa, a cui si può accedere anche da un’entrata secondaria chiamata “Porta del Casale”, presenta inoltre un bel portale settecentesco ornato dalle raffigurazioni dei SS. Pietro e Paolo e, alla sommità, dallo stemma istituzionale del paese di Vaglio: Ercole armato di clava assiso su un leone. 

L’impianto basilicale a tre navate, con copertura a cupola, racchiude una spazialità suggestiva e carica di spiritualità, in parte determinata dall’utilizzo della nuda pietra locale. [SinglePic not found]La navata destra è scandita da quattro altari marmorei, quella di sinistra è invece arricchita da due altari lignei del XVIII secolo. Un pregevole apparato decorativo impreziosisce la chiesa, composto da numerose sculture ascrivibili ai secoli XVIII e XIX, e da tele di squisita fattura, due delle quali attribuite ad Antonio Stabile ed inerenti alla fine del Cinquecento: la Sacra Famiglia e la Madonna del Rosario. Presso l’altare si trova il corpo del patrono di Vaglio, S. Faustino Martire, la cui ricorrenza si celabra il 20 Maggio. Da segnalare sono infine l’organo e la cantoria, entrambi in legno scolpito, dipinto e dorato, ascrivibili al XVIII secolo, e lo splendido coro ligneo cinquecentesco collocato alle spalle dell’altare maggiore, ornato da tavole minuziosamente intagliate a raffiguarare scene di caccia, flora e fauna.

Convento di S. Antonio

convento sAntonio interno

Il convento di S. Antonio. Le fonti attestano che alla fine del XVI secolo il complesso conventuale intitolato a S. Antonio Abate era già stato edificato, e che lo stesso era di pertinenza dei frati Conventuali di S. Francesco di Assisi. Alla semplicità della chiesa, impostata su una pianta a navata unica, fa da contraltare il notevole patrimonio artistico che ne arricchisce l’interno, in cui spiccano il settecentesco altare maggiore in legno scolpito, intagliato, dipinto e dorato, ed il soprastante polittico animato dalle raffigurazioni di S. Michele, dell’Annunciazione e di S. Vito, opera seicentesca di Francesco Paterno da Buccino; al centro del polittico campeggia la statua raffigurante il santo eponimo della chiesa, Antonio Abate, ascrivibile al XVII secolo, mentre ai lati si possono ammirare le due statue lignee di S. Leonardo, realizzata nel XVII secolo, e quella settecentesca di S. Francesco da Paola. Questo complesso decorativo è a sua volta contenuto entro una splendida nicchia barocca in legno dorato, finemente scolpito ed intagliato, la cui peculiarità è rappresentata dai dipinti settecenteschi ad olio che ne ornano il soffitto, raffiguranti San Francesco, la Madonna e Santa Chiara, entro una fitta trama di decorazioni floreali. Agli interventi settecenteschi sono riconducibili anche i sei altari lignei posti a scandire la navata: quello collocato alla destra dell’altare maggiore e arricchito dalla statua seicentesca di S. Antonio da Padova, in legno scolpito e dipinto. Il secondo altare della parete di destra è contraddistinto invece dalla tela raffigurante la Sacra Famiglia e S. Anna, realizzata nel 1663 da Francesco Paterno da Buccino. Il primo altare a destra è altresì ornato da un affresco del XVII secolo di Girolamo Todisco, raffigurante la Madonna con il Bambino e S. Anna. L’altare prospiciente presenta tre statue settecentesco raffiguranti S. Francesco d’Assisi, S. Apollonia e S. Lucia, mentre su quello a seguire, identificato da un’epigrafe che ne ricorda la costruzione nel XVII sec., campeggia la coeva statua dell’Immacolata. Il terzo altare presenta una tela seicentesca, anch’essa di Francesco Paterno da Buccino, raffigurante la Madonna delle Grazie con i SS. Domenico e Carlo. Le pareti laterali sono arricchite da diverse tele settecentesche raffiguranti Santi francescani e la Madonna, e da una resurrezione di Attilio De Laurentis, datata al 1626. Pregevoli sono, inoltre, le acquasantiere in pietra marrone (XVIII sec.), il confessionale barocco ed i due busti settecenteschi di S. Antonio da Padova e di S. Antonio Abate. Degno di nota è, infine, il portale in pietra locale, recante la data del 1656.

Chiesa del Carmine

chiesa carmine

La chiesa del Carmine è composta da una navata centrale con abside, e da una laterale destra, la chiesa in origine è appartenuta alla confraternita del corpo di Cristo come ricovero per i poveri. Alla fine del ‘500 viene affidata ai Padri Domenicani fino alla seconda metà del XVII secolo.

Preceduto da un ampio giardino con fontana, la chiesa dispone di un bellissimo portale con arco a tutto sesto del sec. XVIII.

 

Il ritratto di Leonardo

leonardo

Leonardo scriveva al rovescio, in forma speculare. E’ forse questo l’approccio più corretto per narrare in che modo questo dipinto ha deciso di riemergere dalle nebbie del passato: una specularità che lascia indistinte le funzioni del ricercatore e dell’oggetto ricercato, riferendosi, piuttosto, ad un “ecosistema storico” adatto nel quale ricomparire. Non si discute, infatti, di una “ricerca che ritrova il quadro”, ma del dipinto di un genio universale che “sceglie” il contesto più consono nel quale manifestare la sua esistenza, lasciando, dunque a Leonardo il ruolo che ha sempre occupato nella storia, quello di ricercatore e di protagonista. Poichè le manifestazioni di un genio sono tali per la sorpresa che suscitano, il suo ritorno non poteva che essere imprevedibile. Una splendida tavola in pioppo curiosamente assemblata, supporta quello che per alcuni studiosi è stato ritenuto il ritratto del volto di Leonardo Da Vinci più celebre degli ultimi due secoli. Passato nel tempo dalle mani di nobili famiglie lucane a quelle di un collezionista salernitano, il dipinto trova spazio in un contesto di ricerca molto particolare che da sempre suscita interesse e curiosita intorno a quello che si riconosceva come il volto del piu grande genio dell’umanita’.

Sin dai primi momenti del ritrovamento avvenuto durante il recupero e lo studio delle opere del noto pittore lucano Antonio Stabile, non si è mai perso di vista il criterio e la severità di un approccio scientifico relativo sia al supporto ligneo che al pigmento pittorico, ad opera dagli esperti della Seconda Università degli studi di Napoli.

Analisi preliminari (XRF su vari punti dello strato pittorico e datazioni con il metodo del radiocarbonio con spettrometria di massa con acceleratore su microframmenti di legno prelevati dal retro della tavola) hanno dimostrato il reperto è ascrivibile alla seconda meta’ del XV secolo, e che l’attribuzione alla mano di Leonardo è oggetto di una serie di attivita’ di studio in ambito storico ed artistico.

Il Museo delle Antiche Genti di Lucania di Vaglio Basilicata (PZ) , in collaborazione con il Museo Ideale di Vinci , ospita in esclusiva mondiale il dipinto leonardesco attraverso una mostra dal titolo “I Ritratti di Leonardo” che si terrà dal 08/04/09 al 31/08/09.

 

 

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